Aule di udienza

Aldo Moro Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana.
Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista denominato Brigate Rosse.
Moro era considerato un mediatore tenace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle numerose "correnti" che agivano e si suddividevano il potere all'interno del suo partito.
All'inizio degli anni sessanta Moro fu un convinto assertore della necessità di un'alleanza tra il suo partito, la Democrazia cristiana, ed il Partito Socialista Italiano per creare un centrosinistra. Nel congresso democristiano di Napoli del 1962 riuscì a portare su questa posizione l'intero gruppo dirigente del partito. La stessa cosa avvenne all'inizio del 1978 (poco prima del rapimento), quando riuscì a convincere la DC della necessità di un governo di "solidarietà nazionale", con la presenza del PCI nella maggioranza parlamentare.
Nacque a Maglie, in provincia di Lecce, da genitori originari di Gemini, frazione di Ugento (Le). A quattro anni si trasferì con la famiglia a Taranto, dove conseguì la Maturità Classica al Liceo "Archita".
Si iscrisse presso l'Università degli studi di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove si laurea, sotto la guida del prof. Biagio Petrocelli, con una tesi su "La capacità giuridica penale".
Durante gli anni universitari è iscritto ai GUF e partecipa ai Littoriali della cultura e dell'arte.
Militò, assieme a Giulio Andreotti, nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), di cui fu presidente nazionale tra il 1938 e il 1941.
Dopo qualche anno di carriera accademica, fondò nel 1943 a Bari, con alcuni amici, il periodico «La Rassegna» che uscì fino al 1945,
Nel 1945 sposò Eleonora Chiavarelli, con la quale ebbe quattro figli: Maria Fida, Agnese, Anna e Giovanni.
Nel 1945 diventò inoltre presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica e direttore della rivista «Studium».
Tra il 1943 ed il 1945 aveva iniziato ad interessarsi di politica ed in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente della "destra" socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano. Nella DC fin da subito mostrò la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana (in pratica la "sinistra DC").
Nel 1946 fu vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all'Assemblea Costituente, dove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi.
Divenne professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Bari e nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu presidente del gruppo parlamentare democristiano. Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni e l'anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale del partito.
Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi (governi Zoli e Fanfani), introdusse lo studio dell'educazione civica nelle scuole. Nel 1959 ebbe affidata la segreteria del partito durante il VII congresso nazionale. Nel 1963 ottenne il trasferimento all'Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche.
Fino al 1968 ricoprì la carica di Presidente del Consiglio alla guida di governi di coalizione con il Partito Socialista Italiano, insieme agli alleati tradizionali della DC: i socialdemocratici ed i repubblicani.
Dal 1969 al 1974, assunse l'incarico di ministro degli Esteri, per divenire nuovamente presidente del consiglio fino al 1976. Nel 1975 il suo governo conclude il Trattato di Osimo, con cui si sanciva l'appartenenza della Zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia.
Nel 1976 fu eletto Presidente del Consiglio Nazionale del partito.
Aldo Moro era un cattolico molto credente e la sua grande fede in Dio si rispecchia nella sua vita politica.
La sua intenzione dominante era di allargare la base democratica del sistema di governo, vale a dire che il vertice del potere esecutivo avrebbe dovuto rappresentare un numero più ampio di partiti e di elettori. Questo sarebbe stato possibile solo con un gioco di alleanze aventi come fulcro la Dc, seguendo così una linea politica secondo il principio di democrazia consociativa: questa idea di Moro non va confusa con la strategia, enunciata dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, del "compromesso storico", che prevedeva l'entrata al governo del Pci.
Se si analizzano brevemente i compiti di Moro nell'ambito della sua vita politica, risaltano le grandi difficoltà a cui doveva far fronte: soprattutto la necessità di conciliare l'aspirazione cristiana e popolare della democrazia cristiana con i valori di tendenza laica e liberale della società italiana. Il cosiddetto "miracolo economico", che ha portato l'Italia rurale a diventare in pochi decenni una delle grandi potenze industriali mondiali, comportò anche un cambiamento sociale con il risveglio delle masse nel senso di una presenza attiva nella vita del Paese. Moro, quando saggiamente affermava che "di crescita si può anche morire", voleva esprimere il reale pericolo di una società in crescita rapidissima: il risveglio delle masse creava la nascita di nuovi e più forti componenti popolari (tra cui i giovani, le donne e i lavoratori) che avevano bisogno di integrazione all'interno del sistema democratico. Durante questa rapidissima crescita industriale, il prezzo pagato a livello di diritti umani fu altissimo.
Le masse popolari secondo alcuni tendevano a esprimere in forma "emotiva e mitologica" il loro bisogno di una partecipazione diretta alla gestione del potere. Secondo altri, più semplicemente, le masse popolari italiane erano e sono - per ragioni storiche, politico-culturali e di fragilità del ceto intellettuale - propense ad inclinare verso una destra autoritaria: recuperare le classi popolari dal fascismo e traghettarle nel sistema democratico fu una missione che Moro ascrisse alla Democrazia cristiana.
Per questo motivo, Moro si ritrovò nell'ingrata situazione di dover "armonizzare" realtà apparentemente inconciliabili tra loro. Sandro Fontana, nel suo citato articolo Moro e il sistema politico italiano, sostenne che questa strutturazione culturale delle masse da un lato le induceva a cercare "soluzioni di tipo simbolico" che si risolvono spesso in "situazioni drammatiche". Questo fattore era un fondamentale presupposto per la nascita di gruppi terroristici che, visti sotto quest'ottica, si potevano considerare il frutto dell'estremizzazione di una forma di partecipazione attiva e extraparlamentare alla politica del paese da parte di una piccolissima parte della popolazione; in questo tipo di partecipazione componenti emozionali e mitologiche si mescolano comportando quasi sempre "situazioni drammatiche".
Dall'altro lato c'era la necessità di far sopravvivere il sistema politico, che a questo scopo aveva bisogno sia di regole precise, sia di scendere continuamente a compromessi alla ricerca di una forma di tolleranza civile. Vale a dire due realtà opposte, agli antipodi tra loro. Sandro Fontana riepiloga con le seguenti domande l'arduo compito di Moro (e della Dc): "Come conciliare l'estrema mobilità delle trasformazioni sociali con la continuità delle strutture rappresentative? Come integrare nello Stato masse sempre più estese di cittadini senza cedere a seduzioni autoritarie? Come crescere senza morire?"
Per forza di cose, la soluzione a tali quesiti non poteva non essere vista nell'ambito di un compromesso politico, una esperienza già in parte collaudata con "l'apertura a sinistra" della Dc nei confronti del Psi di Pietro Nenni, all'inizio degli anni 60. Ma la situazione era diversa: dopo la rivoluzione ungherese del 1956 il Psi si era dichiaratamente staccato dal Pci per intraprendere una strada autonoma. Ciononostante, lo sviluppo di tale coalizione fu bruscamente fermato dal tentativo di colpo di stato del generale De Lorenzo, che per tanti anni era stato alla guida dei servizi segreti.
Negli anni settanta e soprattutto dopo le elezioni del 1976, le quali videro un quasi - sorpasso del Pci sulla Dc, Moro vide l'esigenza di dar vita a governi di "solidarietà nazionale", che avessero una base parlamentare più ampia, comprendente anche il PCI. Questo fatto rese Moro oggetto di aspre critiche, che lo accusavano di volersi rendere artefice di un secondo "compromesso storico", più clamoroso del primo in quanto prevedeva una collaborazione di governo con il Partito Comunista di Berlinguer, che ancora faceva parte della sfera d'influenza sovietica. Questa soluzione presentava grandi rischi sul piano della politica internazionale in quanto non trovava il consenso delle grandi superpotenze mondiali:

  1. Disaccordo degli Usa:
    L'ingresso al governo di persone che avevano stretti contatti con il partito comunista sovietico avrebbe consentito loro di venire a conoscenza, in piena guerra fredda, di piani militari e di postazioni strategiche supersegrete della Nato. Inoltre, una partecipazione comunista in un paese d'influenza americana sarebbe stata una sconfitta culturale degli Usa nei confronti del resto del mondo, e soprattutto dell'Urss.
  2. Disaccordo dell'Urss:
    La partecipazione al governo del Pci sarebbe stata una forma di emancipazione dal governo madre sovietico e di avvicinamento agli Usa.

Inoltre il "compromesso storico" non piaceva a molti settori dello stato italiano, che per mantenere il potere si erano serviti spesso dell'aiuto di associazioni mafiose, logge massoniche (P2) e dei servizi segreti, che erano di fatto sotto l'influenza diretta della Cia e quindi del governo americano. Le divergenze sul piano internazionale - rispetto al suo disegno politico - Moro le aveva già potute constatare sulla propria pelle nel periodo direttamente antecedente il sequestro: la sua accorata difesa di Rumor nella discussione parlamentare sullo Scandalo Lockheed fu da taluno spiegata con un suo personale coinvolgimento nel sistema di tangenti versate dall'impresa aerospaziale americana Lockheed in cambio dell'acquisto di aerei da trasporto militari C-130. Secondo alcuni giornali (che si disse foraggiati da circoli ostili statunitensi), Moro era il fantomatico Antelope Cobbler, destinatario delle bustarelle. L'accusa, che aveva lo scopo di assassinare Moro politicamente e far naufragare in tal modo i suoi progetti politici, fallì con l'assoluzione di Moro del 3 marzo 1978, tredici giorni prima dell'agguato in via Fani.
Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro, dalla sua abitazione nel quartiere Monte Mario alla Camera dei Deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all'incrocio tra via Mario Fani e Via Stresa. In pochi secondi, i terroristi uccisero i 5 uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano).
Fu papa Paolo VI ad officiare il rito funebre ufficiale per la scomparsa di Aldo Moro, amico di sempre e alleato. Non poche critiche vennero mosse al Pontefice per questo gesto che ha pochissimi eguali nella storia della Chiesa, ma Papa Montini non volle sentire ragioni. La cerimonia funebre venne celebrata senza il corpo dello statista per esplicito volere della famiglia, la quale ritenendo che lo stato italiano poco o nulla avesse fatto per salvare la vita di Moro, rifiutò il funerale pubblico ufficiale di stato, scegliendo di svolgere le esequie in forma privata.
"Le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi ad esprimere il de profundis, il grido, il pianto, dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci, e chi può ascoltare il nostro lamento?... se non ancora tu, o Dio della vita e della morte, tu, non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico... Fa o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che pur nelle tenebre della morte ancora intercede tra i defunti da questa esistenza temporale e noi tutt'ora viventi in questa giornata, di un sole che inesorabilmente tramonta, non è vano il programma del nostro essere di redenti; la nostra carne risorgerà! La nostra vita sarò eterna! Noi, Aldo, e tutti i viventi in Cristo, beati nell'infinito Iddio, li rivedremo. Signore ascoltaci. E intanto, o Signore, fa, che placato dalla virtù della tua croce, il nostro cuore sappia perdonare l'oltraggio ingiusto e mortale inflitto a quest'uomo carissimo e a quelli che han subito la medesima sorte crudele. Signore ascoltaci!!!"
Dall'anno seguente alla sua uccisione, l'esponente della Democrazia Cristiana viene ogni anno ricordato con messaggi e cerimonie presenziate dalle cariche istituzionali. In questi anni, ad Aldo Moro sono state dedicate diverse trasmissioni televisive. Il 4 maggio 2007, il Parlamento ha votato e approvato una legge con il quale si istituisce il 9 maggio il "Giorno della memoria" in ricordo di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo.
Tra aprile e maggio 2007 è stata presentata presso la sede dell'Istituto San Giuseppe delle suore Orsoline a Terracina e presso la sede dell'associazione Forche Caudine a Roma (storico circolo dei Romani d'origine molisana), alla presenza di Agnese Moro, figlia del leader democristiano, una raccolta ragionata degli scritti giornalistici di Aldo Moro, curata dal giornalista Antonello Di Mario ed edita da Tullio Pironti.
Il giorno della domenica delle Palme del 2008, 16 marzo, a trenta anni esatti dal suo rapimento, il vescovo di Caserta Raffaele Nogaro nell'omelia pasquale ha espressamente chiesto che si avvii un processo di canonizzazione per Aldo Moro: "uomo di infinita misericordia, che perdonò tutti". La notizia è stata riportata dalla stampa locale come l'Eco di Caserta, o da quella nazionale come il settimanale L'Espresso.
Nel giorno del 30° anniversario della sua morte, l'Università degli Studi di Bari ha deliberato di intitolarsi ad Aldo Moro, che fu studente e docente presso quest'ultima. La decisione è stata lunga e ha avuto il pieno consenso ed apprezzamento da parte della figlia Agnese Moro.